Amici in Missione - AGOSTO 2014
"Un sacco di riso" - di don Mattia Biasiolo
2 Settembre 2014 - Ho cercato di essere breve e coinciso, ma non ci sono riuscito più di così. Questa è la storia della consegna dei sacchi di riso, apparsa sul crocevia di questa settimana, per chi se la fosse persa....
Non credevo sarebbe stato così difficile.
Non è per niente facile iniziare a raccontare del viaggio in Guinea Bissau dal 12 al 26 agosto. Ci sarebbero così tante cose da dire anche del periodo pre-viaggio (per esempio i passaporti che non arrivavano da Roma o le valigie da preparare) e post-viaggio (per esempio la festa a sorpresa di "bentornati"), che è proprio difficile scegliere cosa dire in queste poche righe.
Il titolo però del articoletto dell'ultimo bollettino mi ha ricordato che c'è un debito da saldare con tutta la comunità (e non solo): dobbiamo raccontare della consegna dei sacchi di riso.
1. Gli antefatti. Don Ivone prima del nostro viaggio, parlando in Curia a Bissau riceve il consiglio, non soltanto di visitare l'ospedale di Cumura, ma di andare anche in un piccolo villaggio lì accanto costruito per i malati di lebbra. Quando si va a far visita a qualcuno gli si porta sempre qualcosa; generi alimentari sono ben graditi e il riso è il piatto principale (nonché quasi unico) del paese. Ecco l'idea di portare un sacco di riso. Mi domanda di coinvolgere la Comunità in questo ed allora per tre settimane in chiesa durante l'offertorio, raccogliamo le buste. Nel frattempo anche Facebook si rivela strumento utile per la pubblicità e arrivano offerte da amici di don Ivone di Palermo e di Milano; inoltre anche noi viaggiatori abbiamo coinvolto i nostri amici e parenti.
Un po' alla volta la cifra raccolta cresce abbastanza: non sono più uno o due sacchi, ma ci avviciniamo ai 75...
Il giorno prima della partenza scrivo una mail a don Ivone: "siccome i soldi sono tanti, vuoi che faccia un bonifico e poi ci pensi tu a consegnarli?". La risposta: "No, no. Portateli voi direttamente, che li consegniamo ai frati veneti che servono la missione".
Con un po' di preoccupazione e i soldi nascosti e suddivisi in diversi piccoli posti e tra di noi, arriva anche la partenza. Finalmente. Ma questa è un'altra storia.
2. La visita. Arriviamo in curia a Bissau direttamente dall'aeroporto intorno alle due e mezza di notte. Sorseggiando un bicchiere di acqua fresca prima del riposo, don Ivone ci dice che la mattina visiteremo subito l'ospedale, il villaggio e la missione dei frati.
Dopo poche ore, siamo nuovamente in piedi, pronti a partire. Il riposo non è stato dei migliori a causa della grande percentuale di umidità, ma la voglia di conoscere ed incontrare è tanta e vince anche sulla stanchezza. A colazione facciamo presente a don Ivone che la cifra raccolta è veramente alta; gli chiediamo se non sia il caso di dividerla anche con qualche altra realtà di carità del posto. Lui ci risponde che possiamo chiedere consiglio al Vescovo; subito dopo colazione infatti andiamo a presentarci e conoscere il "padrone di casa": il Vescovo dom José. Personalmente non ho potuto non pensare al nostro dom Giuseppe Foralosso, il cui nome in Brasile era proprio José. Il vescovo Josè ci accoglie molto calorosamente e ci fa subito una bella impressione. Gli raccontiamo un po' di noi e poi don Ivone gli narra la storia della raccolta per i sacchi di riso e gli chiede come procedere. Ci sono tante realtà caritative che potrebbero aver bisogno di un aiuto. Il vescovo si fa silenzioso per qualche istante e poi con la sua voce calma ci dice: "Portate pure ai frati di Cumura; anche perché se dovesse (ma preghiamo di no) arrivare anche in Guinea Bissau il virus dell'Ebola, quello è il centro che, più di altri, sarà sicuramente pronto all'accoglienza dei malati". Restiamo tutti ammirati dalla saggezza del pastore di questa Chiesa: in poche parole si è dimostrato veramente attento e capace di discernimento, un uomo che sorveglia dall'altro (episcopo) tutta la situazione della sua Chiesa.
Partiamo trepidanti, curiosi, timorosi, entusiasti con il fuoristrada di don Ivone verso l'ospedale. Ci accorgiamo, subito dopo la prima curva, di come il fuoristrada sia l'auto necessaria per guidare in Guinea Bissau: le strade (anche quando sono asfaltate) sono piene di buche (per non dire a volte voragini) e si "salta" molto. Ma questa è un'altra storia. Lungo il tragitto ci fermiamo a comprare due sacchi di riso per la consegna simbolica.
3. L'incontro. Arriviamo finalmente a destinazione. Lasciamo la chiesa della missione sulla destra e ci addentriamo un po' in mezzo alla foresta. L'ospedale di Cumura è stato edificato negli anni '70 per volontà del vescovo Settimio Ferrazzetta (originario di Verona), primo Vescovo di Bissau: accoglie i malati del morbo di Hansen (lebbra) e malati di tubercolosi, oltre che ultimamente anche malati di AIDS. La lebbra è una malattia che è ancora molto diffusa nei paesi più poveri ma dalla quale si può tranquillamente guarire. Con una cura di trenta giorni si guarisce: ovviamente è necessario iniziare subito la cura, appena compaiono i primi sintomi (delle macchie chiare sulla pelle). Purtroppo se si arriva tardi e la malattia ha intaccato piedi o mani, il corpo resterà segnato. La grande difficoltà nella cura è proprio convincere le persone ad andare in ospedale: la gente infatti è molto reticente e si affida principalmente a "curanderos" una specie di santoni che con rimedi "tradizionali" dicono di riuscire a curare tutte le malattie. Questo non è vero e quando finalmente un malato si decide ad andare in ospedale è troppo tardi e la malattia ha iniziato il suo percorso. Nei giorni successivi avremo modo di constatare più volte i "danni" di questa mentalità. Visitiamo la struttura, incontriamo un anziano ammalato insieme a due ragazzini e ci mettiamo a parlare un po' con loro. Ma questa è un'altra storia.
Appena fuori dell'ospedale, in mezzo ad una foresta di Cajù (albero simbolo della Guinea Bissau, il cui frutto sono gli anacardi), raggiungiamo il villaggio. è stato costruito proprio per accogliere i malati di lebbra, ormai guariti ma che non sono più accettati nei loro villaggi perché sono "diversi" (la malattia, mangiando il corpo, fa paura); essi vivono lì con i loro figli, che sono sani, perché il morbo non si trasmette e non è contagioso. L'incontro è stato prima di tutto con i bambini che, quando sentono arrivare un carro (auto in criolo) corrono sempre incontro per far festa. Poi da loro ci siamo fatti accompagnare dal capo villaggio; egli è l'autorità più importante di tutto il villaggio; è lui a decidere su tutte le questioni riguardanti la vita comunitaria ed è lui che si va a salutare e presentarsi. Don Ivone ha raccontato la storia dei sacchi e il coinvolgimento del nostro "villaggio"; sono stati ovviamente molto contenti del dono ricevuto, anche perché molti di loro non possono lavorare e quindi sostenere le famiglie.
Non è stato facile andar via dal villaggio, vuoi perché i bambini non smetterebbero mai di giocare, di farsi abbracciare e di accarezzare le braccia pelose di noi "branca" (bianchi), vuoi perché il senso di gratitudine che gli abitanti esprimevano era grande. Raggiugiamo la missione dei frati, fermandoci prima a visitare un reparto di maternità per madri sieropositive dell'ospedale (ma questa è un'altra storia). In casa è presente solo fra' Silvano, anche lui originario del Veronese, che ci accoglie e ci offre da bere. Sorseggiando del buon succo di frutta, raccontiamo la storia e gli consegniamo la busta con i soldi raccolti: sono 3.135 € raccolti in tutto, pari a 127 sacchi di riso. In ospedale ogni giorno si cuociono tra i 20 e i 30 chili di riso, per cui i pasti sono assicurati per circa 200 giorni. Ovviamente lasciamo ai frati la scelta su come investire tutti quei soldi.
E' ora di pranzo ormai; saliamo in auto e sobbalzando tra un buca e l'altra torniamo in curia per il pranzo, grati per la mattinata vissuta e pronti ad un nuovo emozionante incontro nel pomeriggio.
Ma questa è un'altra storia.
don Mattia Biasiolo
Cervarese S. Croce (Padova)